Squillino le trombe, rullino i tamburi...
...siamo alla terza "COMBO RECENSIONE"e non abbiamo la minima intenzione di fermarci.
QUEL GREG ACCANTO AL CIMITERO:
Ce ne fosse ancora bisogno, dopo soltanto 20 minuti dalla schermata introduttiva si comprendono con chiarezza le regole fondamentali per la realizzazione di una pellicola "tesa e pesa":
- una sceneggiatura VIVA; pulsante, veloce senza mai essere in corsa, che si svuoti e si riempia a cicli brevi e continui.
- idee, non devono essere necessariamente migliori di altre, purchè siano consistenti ed efficaci
- una colonna sonora non fighetta, non arraffata dalla top chart di Apple.com ma artigianale ed in linea con la sceneggiatura di cui sopra
- budget calcolato con logica pull = prima la progettazione e poi il denaro necessario, per evitare sprechi, abbellimenti privi di senso ed altre vaccate
- un cast di attori professionisti, in antitesi alla categoria degli attori esibizionisti
- meccanismi di sospensione dell'incredulità inseriti in frammenti di pellicola brevi, quasi istantanei, e non troppo ricamati
Detto questo, valutare la bellezza di House of the Devil è assolutamente superfluo.
Piuttosto soffermiamoci sul fatto che il salto nel passato non sia provocato dai colori caldi, dalle atmosfere mute à la Bob Clark o dalla scenografia retrò ma dalla consapevolezza che tanta qualità in un film horror ci appaia come roba d'altri tempi.
E RED VIVRA' NEL TERRORE L'ALDILA':
emulazione [e-mu-la-zió-ne] s.f.
1 Bisogno, desiderio di uguagliare o superare qlcu.
2 inform. Esecuzione, tramite un apposito software, di programmi previsti per un certo tipo di elaboratore su un altro, dotato di caratteristiche diverse
3 dir. atto di e., atto emulativo
Nella fattispecie del caso il termine "emulazione" potrebbe, apparentemente, sembrare fuoriluogo.
The House of the Devil, infatti, non persegue l'obbettivo e/o il desiderio di "fare le scarpe" ai grandi del cinema horror che contaminarono, come il migliore degli incubi, i sogni di grandi e piccini in seno ai tanto rimpianti anni ottanta. No.
Questa produzione "sui generis" non è nemmeno una celebrazione "strappalacrime e commovente" dei "bei tempi che furono", quanto piuttosto un monito (magistralmente camuffato) per tutti quei piccoli-grandi produttori che perseverano nella loro ignorante presunzione cinematografica espressa per mezzo di quella MERDA che troneggia sui nostri cinema e che ci inganna di continuo.
Perchè a conti fatti il VERO cinema horror è questo. Quello povero si, ma nel contempo ricco di una virtù unica che riesce a far breccia nei nostri "sensi ancestrali", riportando a galla quelle specifiche paure che pochi sanno debellare.
Quindi sputiamo sul superfluo, e mentre raccogliamo tutto il catarro necessario ad esprimere il nostro dissenso per le porcate moderne che vantano un'attribuzione ingiustificata al sacro genere horror applaudiamo alla bravura di un Ti West illuminato e illuminante.
Un regista giovane si, che però è stato in grado di:
-ricalcare "l'angoscia armata di coltello" di una Shelley Duvall in preda al panico su una Jocelin Donahue decisamente ispirata.
-gestire luci e i colori come soli i grandi hanno saputo fare.
-ammalliare con una colonna sonora perfettamente calzante e "a tema" (Carpenter sarà sicuramente molto fiero!).
-riesumare il classico ruolo della "Babysitter troppo fiduciosa" in pericolo che, purtroppo, sembra essere caduto in disuso da un pò di tempo a questa parte.
Insomma, piccoli ma essenziali dettagli che premono per farsi scorgere, in seno ad un vortice di citazioni e strizzate d'occhio, dai superstiti di un' epoca estreamente florida e ispirata e che , per contro, passano quasi del tutto inosservati agli occhi delle nuove generazioni temprate su un metodo di comprensione dell'immagine totalmente deviato dal "semplicismo" forte e diretto che pulsa nelle vene delle nuove produzioni.
A questo punto credo sia alquanto retorico chiedersi perchè un must come The House of the Devil non sia ancora stato in grado di varcare i confini occidentali (non sono infatti reperibili traduzioni e/o sottotitoli in italiano) , restando gelosamente custodito da una cultura che "una tantum" tradisce le proprie origini...pur non dimenticandole mai.
The House of the Devil, infatti, non persegue l'obbettivo e/o il desiderio di "fare le scarpe" ai grandi del cinema horror che contaminarono, come il migliore degli incubi, i sogni di grandi e piccini in seno ai tanto rimpianti anni ottanta. No.
Questa produzione "sui generis" non è nemmeno una celebrazione "strappalacrime e commovente" dei "bei tempi che furono", quanto piuttosto un monito (magistralmente camuffato) per tutti quei piccoli-grandi produttori che perseverano nella loro ignorante presunzione cinematografica espressa per mezzo di quella MERDA che troneggia sui nostri cinema e che ci inganna di continuo.
Perchè a conti fatti il VERO cinema horror è questo. Quello povero si, ma nel contempo ricco di una virtù unica che riesce a far breccia nei nostri "sensi ancestrali", riportando a galla quelle specifiche paure che pochi sanno debellare.
Quindi sputiamo sul superfluo, e mentre raccogliamo tutto il catarro necessario ad esprimere il nostro dissenso per le porcate moderne che vantano un'attribuzione ingiustificata al sacro genere horror applaudiamo alla bravura di un Ti West illuminato e illuminante.
Un regista giovane si, che però è stato in grado di:
-ricalcare "l'angoscia armata di coltello" di una Shelley Duvall in preda al panico su una Jocelin Donahue decisamente ispirata.
-gestire luci e i colori come soli i grandi hanno saputo fare.
-assimilare grandi intro e fotografie che ancora oggi ispirano i "buongustai" dal palato sopraffino.
-inneggiare ad un genere che per carenza di grazia e virtù è diventato, nel corso del tempo, quasi banale ed obsoleto.-ammalliare con una colonna sonora perfettamente calzante e "a tema" (Carpenter sarà sicuramente molto fiero!).
-riesumare il classico ruolo della "Babysitter troppo fiduciosa" in pericolo che, purtroppo, sembra essere caduto in disuso da un pò di tempo a questa parte.
Insomma, piccoli ma essenziali dettagli che premono per farsi scorgere, in seno ad un vortice di citazioni e strizzate d'occhio, dai superstiti di un' epoca estreamente florida e ispirata e che , per contro, passano quasi del tutto inosservati agli occhi delle nuove generazioni temprate su un metodo di comprensione dell'immagine totalmente deviato dal "semplicismo" forte e diretto che pulsa nelle vene delle nuove produzioni.
A questo punto credo sia alquanto retorico chiedersi perchè un must come The House of the Devil non sia ancora stato in grado di varcare i confini occidentali (non sono infatti reperibili traduzioni e/o sottotitoli in italiano) , restando gelosamente custodito da una cultura che "una tantum" tradisce le proprie origini...pur non dimenticandole mai.
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